mercoledì 24 giugno 2015

Dal mistero alla complementarietà. Desiderio e stadio estetico in Soren Kierkegaard

Dalla Prefazione
Dall’antagonismo alla complementarietà

Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa
della seconda relazione fondamentale dell’uomo.
 L’uomo cade in una profonda solitudine. È un orfano
senza precedenti nella storia. Lo è in senso verticale -è morto
 il suo Genitore celeste, ma anche in senso orizzontale: è morto
chi gli stava vicino.  È orfano dovunque volti  lo sguardo.

L. Zoja   La morte del prossimo (Einaudi, 2009).



Bisogna dare atto a Maria De Carlo della tempestività con cui pubblica il suo saggio su Kierkegaard. Mai come in questo ultimo decennio è particolarmente rilevante il problema della violenza sulle donne e la cronaca porta quasi quotidianamente alla ribalta il fenomeno del femminicidio.

Giustamente l’Autrice si domanda: perché è così difficile vivere un rapporto affettivo? Cosa è che rende impossibile il dialogo tra un uomo e una donna? Che fine ha fatto l’amore romantico? Perché l’uomo ha sempre più paura della donna e dell’alterità?

La risposta –secondo l’A.- sta nel profondo malessere da parte del maschio, legato ad una crisi di identità e ad una crisi di ruolo.

È evidente che il sistema maschilista che da sempre ha regolato i rapporti tra i due sessi è in crisi e il privilegio della supremazia di cui godeva il maschio si avvia ad essere solo un ricordo.

Tuttavia motivazioni più profonde si possono rintracciare in quelle che sono le caratteristiche della cultura post-moderna. Spicca tra esse quelle che F. Remotti nel suo saggio definisce L’ossessione identitaria (ed. Laterza), Il trionfo dell’Io, ossia l’individualismo esasperato, di cui si era già occupato C. Lasch nel saggio “La cultura del narcisismo” e che oggi aggiorna nel nuovo saggio come “La cultura dell’egoismo. L’anima umana sotto il capitalismo” (in collaborazione con C. Castoriadis, ed. Elèuthera, 2014).

“Il culto ipermoderno dell’io è un culto iperedonistico. Non c’è nulla che giustifichi la rinuncia al proprio tornaconto immediato, al proprio godimento personale. Le ragioni dello stare insieme, del bene comune, dell’abitare in luogo comune, del fare comunità, vengono drasticamente meno. L’affermazione della padronanza ciniconarcisistica dell’io, dell’Io che prende il posto di Dio, comporta la liberazione delle pulsioni che sembra non conoscere più limiti. (M. Recalcati in Borelli et Al. Nuovi disagi nella civiltà. Einaudi, 2013).

D’altronde il primato delle emozioni sulla ragione ha accentuato l’individualismo edonistico e consumistico che riduce l’uomo a semplice consumatore di emozioni, rendendo sempre più fluidi e instabili anche i vincoli affettivi familiari. L’emotività individualistica non ha alcuna considerazione e rispetto dei diritti dell’Altro (il grande assente nelle rivendicazioni radicali dei diritti individuali) (G. Ferretti La cultura nel Concilio. Coscienza n.1-2, 14, 2014).

Non a caso anche L’A. afferma che è assente l’alterità, e il dialogo diventa monologo quando l’altro viene vissuto come oggetto. Ogni rapporto di Don Giovanni con una donna ad es. (ricorda l’A. citando il saggio di Pizzuti-pag. 48) si risolve in definitiva in un rapporto con se stesso, e in un ulteriore avvitamento della propria personalità su se stessa…Don Giovanni cresce, ma la sua è una crescita onanistica; ed è precisamente questa la sua caratterizzazione essenziale.

E più avanti aggiunge: spesso l’uomo si pone nei confronti della donna in termini di relazione solipsistica, egocentrica e quindi fallocentrica (pag.61).

Tale visione delle cose è ancora più evidente nelle perversioni sessuali dove assistiamo al fallimento dell’intersoggettività: non un Io che incontra un Tu, ma un Ego che possiede un corpo, un corpo non più soggetto ma ridotto ad oggetto, a strumento di piacere (F. Savoldi Fenomenologia e psicoanalisi. Ed. Cadmos, 1974).

Esemplari a questo proposito ci sembrano le parole di E. Borgna: “La reificazione della sessualità che è al fondo di ogni condotta pornografica non può non essere intesa come una lacerazione profonda della dignità e della libertà della persona. Non c’è vita sessuale autentica se non nel contesto di una soggettività che si confronti con un’altra soggettività nell’orizzonte di una trascendenza che solo l’amore come modo di essere duale può sigillare. L’innamorato non cerca di possedere un corpo, ma un corpo animato dalla coscienza. La sessualità non è una funzione corporea, ma è significante, è una modalità dell’esistere, una delle forme più espressive della relazione dell’uomo con il mondo” (Riv. Sper. Fren. 113, 1424, 1989).

Purtroppo nella cultura post-moderna si sono realizzate le tre riduzioni prodotte dal capitalismo (M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del capitalismo tecno-nichilista. Ed. Feltrinelli, 2009): “La prima riduzione riguarda il tempo: la temporalità viene ridotta all’immediatezza, all’utilità istantanea, al consumo che brucia ogni rinvio ad una dimensione altra del tempo (memoria o avvenire); la seconda riduzione, definita individualistica, tende a distruggere il campo dei legami sociali, creando una illusione narcisistica di un Io che prescinde dall’Altro; la terza riduzione, definita materialistica, riguarda la centralità attribuita al corpo e ai sensi per cui il loro soddisfacimento diventa una misura etica della felicità”.

Ed ecco farsi avanti l’ultima trasformazione antropologica, L’Homo eroticus secondo il pensiero di M. Maffesoli: “Nell’evoluzione della specie l’homo sapiens si è trasformato nell’homo eroticus che antepone il cuore alla ragione, l’impulso alla riflessione, il piacere al dovere. L’homo eroticus, uomo guidato dal desiderio, è al centro della post-modernità. Le nostre azioni non rispondono più alla ragione, ma al desiderio, all’amore. La legge del desiderio ormai plasma la propria identità, si ripercuote nel corpo sociale”.

Nell’epoca della società dell’incertezza, della società liquida, come l’ha definita Z. Bauman, anche l’amore è liquido. Se l’identità infatti è liquida anche il legame interpersonale è liquido, mutevole, individualista e fragile. Alla relazione si sostituisce la connessione, nuova forma privilegiata di relazione interpersonale. Essa consente espressioni narcisistiche di sé, esalta l’emotivismo, è provvisoria, è indefinita. L’esserci-con non è più il reciproco relazionarsi fra identità complementari (maschio-femmina) sul quale costruire progetti, ma diviene “l’occasionale incontro tra bisogni individuali che vanno reciprocamente a soddisfarsi per un tempo minimo al di là di impegni e progetti che superino l’istante”. (T. Cantelmi, Tecnoliquidità. Modelli per la mente, VI°, 7, 2013).

A questo punto possiamo tentare di dare una risposta al quesito fondamentale che l’A. si pone nella sua conclusione: con quale modalità di pensiero mi approccio all’altro, quella dell’essere o dell’avere?

È evidente che nell’era del post-moderno la relazione avviene secondo la modalità dell’avere in un clima di idolatria dell’Io a cui tutto è concesso e tutto è dovuto.

Tuttavia - come ricorda Feuerbach - l’essere dell’uomo non sta nella sua individualità ma nella sua relazione; nella sua relazione con le cose, con gli altri uomini, e con l’Assoluto. Questa rete di relazioni, orizzontali e verticali, in cui è inserito l’uomo ha una consistenza ontologica e non solo psicologica (P. Onorato La laicità alla prova planetaria. Testimonianze, n.475,2011) .

A questo proposito l’A. riferisce il pensiero di Kierkegaard: “Il sé è determinato da un rapporto che si gioca sulla triade: rapporto con sé, con l’Altro e con Dio -dimensione estetica, etica e religiosa”.

Affinchè le suddette relazioni acquistino una consistenza ontologica occorre tuttavia un passaggio obbligatorio : dall’Io individuale all’Io persona. “L’Io persona tende alla reciprocità ed alla pari dignità. L’Io individuale tende al possesso dell’Altro, al dominio, al sospetto, alla gelosia, in definitiva alla chiusura. Il Noi tende all’incontro, al dialogo, all’apertura all’Altro. Il vero amore non può essere esasperata soggettività, ma bisogno di trascendere se stessi per incontrare l’altro, ossia di riuscire a reperire noi stessi nell’altro, la disintegrazione di ogni nostra barriera difensiva” (E. Vignoli, Repubblica D 6.9.2008).

Solo così potremo raggiungere la Noità, l’essere con gli altri, il sentirci tutt’uno con gli Altri, l’appartenenza. Lo ricordava bene G. Gaber nella canzone dell’appartenenza: “L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare insieme, non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è avere gli altri dentro di sé”.

Dentro di sé e non sotto di sé. Non a caso L. Cavalli Sfora e D. Padoan hanno intitolato il loro saggio: “Razzismo e Noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro”, ed. Einaudi, 2013.

La cultura maschilista ha puntato purtroppo finora sempre al dominio sull’altro e all’esclusione dell’altro.

Cambierà qualcosa nel nuovo millennio ?

Maria De Carlo sembra fiduciosa al riguardo e intitola il suo saggio: “Dal mistero alla complementarietà”. L’A. parte dal pensiero di Kierkegaard ma va oltre, proponendo una via di uscita per il maschio chiuso in se stesso, incapace di apertura autentica. Proprio nel volgersi alla donna egli può ritrovarsi riscoprendo la propria identità. È un’utopia ?

L’A. non è sola su questa argomentazione. Secondo A. Touraine, ad es., l’evoluzione biologica (Darwin) è finita. La seconda evoluzione, quella culturale, è appena cominciata: “Le forze che cambiano il mondo non sono più le forze sociali, ma le forze che impongono una nuova visione del mondo. Ad esempio: l’ecologia intesa come assunzione di responsabilità collettiva nei confronti di un bene comune, la Natura, le donne come portatrici di una visione nuova di una società post-patriarcale e post-gerarchica” (A. Touraine, La Repubblica 23.6.2012).

Dunque l’identità di genere è specifica e condizionante: “A differenza del modo maschile di pensare, che è fondamentalmente cartesiano, cioè logico-razionale, quello femminile è in un certo senso olistico, perché connette la dimensione razionale con quella irrazionale: la corteccia del cervello femminile dialoga con il cervello antico sede delle emozioni, dei sentimenti, delle intuizioni, molto più di quanto accade per il maschile. La seconda differenza è che il maschio è “uno”, la donna è “due” nel senso di l’uno e l’altro. La donna è essenzialmente “relazione” ed in essa trova la sua identità, a differenza del maschio che è un’identità che instaura relazioni. Senza relazione la donna tendenzialmente non mette in gioco la propria sessualità”. (U. Galimberti Repubblica D 12.11.2011).

In altri termini la dualità è tipicamente femminile. Lo ricorda ben Borgna quando afferma: “Sono le donne ad aver sviluppato un pensiero del prendersi cura, del ‘partire da sé per salvarsi e salvare l’altro’, quindi a gettare le basi empiriche della comunità di destino che si fa cura. La comunità di destino si svolge nella coscienza di ciascuno di noi e poi nelle relazioni che abbiamo con gli altri” (A.Bonomi ed E. Borgna Elogio della depressione. Einaudi 2011).

La conferma nelle parole di G. Rizzolati, lo scienziato a cui si deve la scoperta dei neuroni specchio. Alla domanda: Si specchiano più i neuroni femminili o i maschili? Risponde: Decisamente i primi. Il vedere soffrire un altro determina molto più dolore nella donna che nel maschio.

In altre parole la donna è per sua natura già predisposta ad entrare nella prossima era della civiltà dell’empatia (come la definisce J. Rifkin), empatia che consentirà il passaggio, non solo epistemologico ma anche esistenziale, dall’egocentrismo all’ecocentrismo. Tutta la filosofia moderna è filosofia monologica, anzi egologica (Lèvinas) ma l’Io non esaurisce l’essere.

Accettare l’ottica della complessità ci permetterà di superare le antiche dicotomie, che da sempre hanno permesso all’uomo (maschio) di dominare le altre creature, e ci consentirà di raggiungere una visione oltredualistica: non più aut-aut ma vel, vel, vel…. Una siffatta visione deve trovare il suo fondamento nella reciprocità, nell’essere in due, nell’appartenenza, categoria primaria dell’umano.

D’altronde non viviamo tutti nella nostalgia della metà smarrita?

Antonio Scala
L.D. Psichiatria Seconda Università di Napoli

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