Dalla Prefazione
Dall’antagonismo alla complementarietà
Dopo
la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa
della seconda relazione fondamentale dell’uomo.
L’uomo
cade in una profonda solitudine. È un orfano
senza
precedenti nella storia. Lo è in senso verticale -è morto
il suo Genitore celeste, ma anche in senso
orizzontale: è morto
chi
gli stava vicino. È orfano dovunque
volti lo sguardo.
L. Zoja
La morte del prossimo
(Einaudi, 2009).
Bisogna dare atto a Maria
De Carlo della tempestività con cui pubblica il suo saggio su
Kierkegaard. Mai come in questo ultimo decennio è particolarmente
rilevante il problema della violenza sulle donne e la cronaca porta
quasi quotidianamente alla ribalta il fenomeno del femminicidio.
Giustamente
l’Autrice si domanda: perché è così difficile vivere un rapporto
affettivo? Cosa è che rende impossibile il dialogo tra un uomo e una
donna? Che fine ha fatto l’amore romantico? Perché l’uomo ha sempre più
paura della donna e dell’alterità?
La risposta –secondo l’A.-
sta nel profondo malessere da parte del maschio, legato ad una crisi di
identità e ad una crisi di ruolo.
È evidente che il sistema
maschilista che da sempre ha regolato i rapporti tra i due sessi è in
crisi e il privilegio della supremazia di cui godeva il maschio si avvia
ad essere solo un ricordo.
Tuttavia motivazioni più profonde si
possono rintracciare in quelle che sono le caratteristiche della
cultura post-moderna. Spicca tra esse quelle che F. Remotti nel suo
saggio definisce L’ossessione identitaria (ed. Laterza), Il trionfo
dell’Io, ossia l’individualismo esasperato, di cui si era già occupato
C. Lasch nel saggio “La cultura del narcisismo” e che oggi aggiorna nel
nuovo saggio come “La cultura dell’egoismo. L’anima umana sotto il
capitalismo” (in collaborazione con C. Castoriadis, ed. Elèuthera,
2014).
“Il culto ipermoderno dell’io è un culto iperedonistico.
Non c’è nulla che giustifichi la rinuncia al proprio tornaconto
immediato, al proprio godimento personale. Le ragioni dello stare
insieme, del bene comune, dell’abitare in luogo comune, del fare
comunità, vengono drasticamente meno. L’affermazione della padronanza
ciniconarcisistica dell’io, dell’Io che prende il posto di Dio, comporta
la liberazione delle pulsioni che sembra non conoscere più limiti. (M.
Recalcati in Borelli et Al. Nuovi disagi nella civiltà. Einaudi,
2013).
D’altronde il primato delle emozioni sulla ragione ha
accentuato l’individualismo edonistico e consumistico che riduce l’uomo a
semplice consumatore di emozioni, rendendo sempre più fluidi e
instabili anche i vincoli affettivi familiari. L’emotività
individualistica non ha alcuna considerazione e rispetto dei diritti
dell’Altro (il grande assente nelle rivendicazioni radicali dei diritti
individuali) (G. Ferretti La cultura nel Concilio. Coscienza n.1-2,
14, 2014).
Non a caso anche L’A. afferma che è assente
l’alterità, e il dialogo diventa monologo quando l’altro viene vissuto
come oggetto. Ogni rapporto di Don Giovanni con una donna ad es.
(ricorda l’A. citando il saggio di Pizzuti-pag. 48) si risolve in
definitiva in un rapporto con se stesso, e in un ulteriore avvitamento
della propria personalità su se stessa…Don Giovanni cresce, ma la sua è
una crescita onanistica; ed è precisamente questa la sua
caratterizzazione essenziale.
E più avanti aggiunge: spesso
l’uomo si pone nei confronti della donna in termini di relazione
solipsistica, egocentrica e quindi fallocentrica (pag.61).
Tale
visione delle cose è ancora più evidente nelle perversioni sessuali dove
assistiamo al fallimento dell’intersoggettività: non un Io che incontra
un Tu, ma un Ego che possiede un corpo, un corpo non più soggetto ma
ridotto ad oggetto, a strumento di piacere (F. Savoldi Fenomenologia e
psicoanalisi. Ed. Cadmos, 1974).
Esemplari a questo proposito ci
sembrano le parole di E. Borgna: “La reificazione della sessualità che
è al fondo di ogni condotta pornografica non può non essere intesa come
una lacerazione profonda della dignità e della libertà della persona.
Non c’è vita sessuale autentica se non nel contesto di una soggettività
che si confronti con un’altra soggettività nell’orizzonte di una
trascendenza che solo l’amore come modo di essere duale può sigillare.
L’innamorato non cerca di possedere un corpo, ma un corpo animato dalla
coscienza. La sessualità non è una funzione corporea, ma è significante,
è una modalità dell’esistere, una delle forme più espressive della
relazione dell’uomo con il mondo” (Riv. Sper. Fren. 113, 1424, 1989).
Purtroppo
nella cultura post-moderna si sono realizzate le tre riduzioni prodotte
dal capitalismo (M. Magatti, Libertà immaginaria. Le illusioni del
capitalismo tecno-nichilista. Ed. Feltrinelli, 2009): “La prima
riduzione riguarda il tempo: la temporalità viene ridotta
all’immediatezza, all’utilità istantanea, al consumo che brucia ogni
rinvio ad una dimensione altra del tempo (memoria o avvenire); la
seconda riduzione, definita individualistica, tende a distruggere il
campo dei legami sociali, creando una illusione narcisistica di un Io
che prescinde dall’Altro; la terza riduzione, definita materialistica,
riguarda la centralità attribuita al corpo e ai sensi per cui il loro
soddisfacimento diventa una misura etica della felicità”.
Ed
ecco farsi avanti l’ultima trasformazione antropologica, L’Homo eroticus
secondo il pensiero di M. Maffesoli: “Nell’evoluzione della specie
l’homo sapiens si è trasformato nell’homo eroticus che antepone il cuore
alla ragione, l’impulso alla riflessione, il piacere al dovere. L’homo
eroticus, uomo guidato dal desiderio, è al centro della post-modernità.
Le nostre azioni non rispondono più alla ragione, ma al desiderio,
all’amore. La legge del desiderio ormai plasma la propria identità, si
ripercuote nel corpo sociale”.
Nell’epoca della società
dell’incertezza, della società liquida, come l’ha definita Z. Bauman,
anche l’amore è liquido. Se l’identità infatti è liquida anche il legame
interpersonale è liquido, mutevole, individualista e fragile. Alla
relazione si sostituisce la connessione, nuova forma privilegiata di
relazione interpersonale. Essa consente espressioni narcisistiche di sé,
esalta l’emotivismo, è provvisoria, è indefinita. L’esserci-con non è
più il reciproco relazionarsi fra identità complementari
(maschio-femmina) sul quale costruire progetti, ma diviene
“l’occasionale incontro tra bisogni individuali che vanno reciprocamente
a soddisfarsi per un tempo minimo al di là di impegni e progetti che
superino l’istante”. (T. Cantelmi, Tecnoliquidità. Modelli per la
mente, VI°, 7, 2013).
A questo punto possiamo tentare di dare
una risposta al quesito fondamentale che l’A. si pone nella sua
conclusione: con quale modalità di pensiero mi approccio all’altro,
quella dell’essere o dell’avere?
È evidente che nell’era del
post-moderno la relazione avviene secondo la modalità dell’avere in un
clima di idolatria dell’Io a cui tutto è concesso e tutto è dovuto.
Tuttavia
- come ricorda Feuerbach - l’essere dell’uomo non sta nella sua
individualità ma nella sua relazione; nella sua relazione con le cose,
con gli altri uomini, e con l’Assoluto. Questa rete di relazioni,
orizzontali e verticali, in cui è inserito l’uomo ha una consistenza
ontologica e non solo psicologica (P. Onorato La laicità alla prova
planetaria. Testimonianze, n.475,2011) .
A questo proposito l’A.
riferisce il pensiero di Kierkegaard: “Il sé è determinato da un
rapporto che si gioca sulla triade: rapporto con sé, con l’Altro e con
Dio -dimensione estetica, etica e religiosa”.
Affinchè le
suddette relazioni acquistino una consistenza ontologica occorre
tuttavia un passaggio obbligatorio : dall’Io individuale all’Io persona.
“L’Io persona tende alla reciprocità ed alla pari dignità. L’Io
individuale tende al possesso dell’Altro, al dominio, al sospetto, alla
gelosia, in definitiva alla chiusura. Il Noi tende all’incontro, al
dialogo, all’apertura all’Altro. Il vero amore non può essere
esasperata soggettività, ma bisogno di trascendere se stessi per
incontrare l’altro, ossia di riuscire a reperire noi stessi nell’altro,
la disintegrazione di ogni nostra barriera difensiva” (E. Vignoli,
Repubblica D 6.9.2008).
Solo così potremo raggiungere la Noità,
l’essere con gli altri, il sentirci tutt’uno con gli Altri,
l’appartenenza. Lo ricordava bene G. Gaber nella canzone
dell’appartenenza: “L’appartenenza non è lo sforzo di un civile stare
insieme, non è il conforto di un normale voler bene, l’appartenenza è
avere gli altri dentro di sé”.
Dentro di sé e non sotto di sé.
Non a caso L. Cavalli Sfora e D. Padoan hanno intitolato il loro saggio:
“Razzismo e Noismo. Le declinazioni del noi e l’esclusione dell’altro”,
ed. Einaudi, 2013.
La cultura maschilista ha puntato purtroppo finora sempre al dominio sull’altro e all’esclusione dell’altro.
Cambierà qualcosa nel nuovo millennio ?
Maria
De Carlo sembra fiduciosa al riguardo e intitola il suo saggio: “Dal
mistero alla complementarietà”. L’A. parte dal pensiero di Kierkegaard
ma va oltre, proponendo una via di uscita per il maschio chiuso in se
stesso, incapace di apertura autentica. Proprio nel volgersi alla donna
egli può ritrovarsi riscoprendo la propria identità. È un’utopia ?
L’A.
non è sola su questa argomentazione. Secondo A. Touraine, ad es.,
l’evoluzione biologica (Darwin) è finita. La seconda evoluzione, quella
culturale, è appena cominciata: “Le forze che cambiano il mondo non sono
più le forze sociali, ma le forze che impongono una nuova visione del
mondo. Ad esempio: l’ecologia intesa come assunzione di responsabilità
collettiva nei confronti di un bene comune, la Natura, le donne come
portatrici di una visione nuova di una società post-patriarcale e
post-gerarchica” (A. Touraine, La Repubblica 23.6.2012).
Dunque
l’identità di genere è specifica e condizionante: “A differenza del
modo maschile di pensare, che è fondamentalmente cartesiano, cioè
logico-razionale, quello femminile è in un certo senso olistico, perché
connette la dimensione razionale con quella irrazionale: la corteccia
del cervello femminile dialoga con il cervello antico sede delle
emozioni, dei sentimenti, delle intuizioni, molto più di quanto accade
per il maschile. La seconda differenza è che il maschio è “uno”, la
donna è “due” nel senso di l’uno e l’altro. La donna è essenzialmente
“relazione” ed in essa trova la sua identità, a differenza del maschio
che è un’identità che instaura relazioni. Senza relazione la donna
tendenzialmente non mette in gioco la propria sessualità”. (U.
Galimberti Repubblica D 12.11.2011).
In altri termini la
dualità è tipicamente femminile. Lo ricorda ben Borgna quando afferma:
“Sono le donne ad aver sviluppato un pensiero del prendersi cura, del
‘partire da sé per salvarsi e salvare l’altro’, quindi a gettare le basi
empiriche della comunità di destino che si fa cura. La comunità di
destino si svolge nella coscienza di ciascuno di noi e poi nelle
relazioni che abbiamo con gli altri” (A.Bonomi ed E. Borgna Elogio
della depressione. Einaudi 2011).
La conferma nelle parole di G.
Rizzolati, lo scienziato a cui si deve la scoperta dei neuroni
specchio. Alla domanda: Si specchiano più i neuroni femminili o i
maschili? Risponde: Decisamente i primi. Il vedere soffrire un altro
determina molto più dolore nella donna che nel maschio.
In altre
parole la donna è per sua natura già predisposta ad entrare nella
prossima era della civiltà dell’empatia (come la definisce J. Rifkin),
empatia che consentirà il passaggio, non solo epistemologico ma anche
esistenziale, dall’egocentrismo all’ecocentrismo. Tutta la filosofia
moderna è filosofia monologica, anzi egologica (Lèvinas) ma l’Io non
esaurisce l’essere.
Accettare l’ottica della complessità ci
permetterà di superare le antiche dicotomie, che da sempre hanno
permesso all’uomo (maschio) di dominare le altre creature, e ci
consentirà di raggiungere una visione oltredualistica: non più aut-aut
ma vel, vel, vel…. Una siffatta visione deve trovare il suo fondamento
nella reciprocità, nell’essere in due, nell’appartenenza, categoria
primaria dell’umano.
D’altronde non viviamo tutti nella nostalgia della metà smarrita?
Antonio Scala
L.D. Psichiatria Seconda Università di Napoli
L.D. Psichiatria Seconda Università di Napoli
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