mercoledì 24 giugno 2015

Appunti per la ricerca di una direzione. Saggio su Martin Buber

Dalla Prefazione di Franco Trifuoggi, saggista e critico letterario, già docente di letteratura religiosa.

 (...) Il saggio, che si sofferma precipuamente sui testi L’eclissi di Dio e Il cammino dell’uomo, spazia tuttavia su un ampio arco di opere del filosofo, di cui, peraltro, addita la matrice biblica e offre una chiara e persuasiva sintesi, sottolineando la centralità del principio dialogico Ich-Du (coppia di relazione, Beziehung) la cui autenticità postula che si veda nell’altro il “tu” nella pronuncia del quale l’uomo completa il proprio io: un’autenticità che si realizza pienamente della relazione tra l’io e il tu-Dio, e a cui si contrappone quella falsamente dialogica, “malata” specialmente nel mondo moderno, in cui l’uomo è, per l’altro, soltanto un “esso” da strumentalizzare per i propri scopi. Analogamente ella puntualizza la distanza della prospettiva buberiana dalla duplice visione moderna che considera l’uomo in termini di “individuo” oppure – secondo il collettivismo – non vede che la “società”. Aggiunge che, per Buber, la relazione io-tu è ontologica nell’uomo, donde l’inquietudine dell’io che tende quasi spasmodicamente alla comunione: se egli oggi “fa fatica a dire tu è perché ha smarrito il proprio io” nel caos dell’egoismo, e il male è appunto il “non volersi dirigere verso l’incontro autentico”; solo “attraverso una virata di tutto il suo essere” egli trova “un cammino verso Dio”, cioè verso il compito particolare a cui Dio lo ha destinato: una virata di cui il pentimento è solo l’impulso che la fa scattare. E' naturale, quindi, che il primo capitolo sia dedicato a un approfondimento del problema del male “in relazione alla nostra esperienza di vita”, nella scia del volume di Buber Immagini del bene e del male ove il filosofo avverte che “la battaglia deve cominciare dalla nostra anima” (pensiero esplicitato da lui nel racconto Gog e Magog). E nel capitolo successivo si accampa, ovviamente, la definizione buberiana del male come “mancanza da parte dell’animo di direzione verso Dio”, in una con il riconoscimento della necessarietà dei due istinti nell’uomo, il “buono” e il “cattivo” (l’ardore del quale si può dirigere verso Dio se va incluso nell’amore di lui), “dati da Dio come suoi servitori” che “possono agire appieno soltanto in coppia”. alla “conversione” è consacrato il capitolo che segue, ove si ribadisce che “la mancanza di direzione è il male” (che non è realtà a se stante) e che è fondamentale per l’uomo la “vera coscienza di essere-inseritonel mondo” e del suo reale dialogo con Dio: la pienezza dell’io “socratico e goethiano”, e dell’io in relazione al tu eterno, la vita vissuta nella consapevolezza che a lui soltanto spetta la “decisione” configurano tale conversione dalla non-direzione al bene. (...)
...“L’amore è per Buber una realtà ontologica, è qualcosa che realmente accade nello spazio tra l’io e il tu”. Non senza, infine, invitare il lettore, riservandogli lo spazio di un una pagina bianca, a fissare qualche spunto per “guardarsi” con maggiore consapevolezza in vista della propria “direzione”. (....)
Concorrono alla validità ed originalità del saggio anche il particolare rilievo che assume il riscontro, additato dall’autrice, del pensiero dialogico buberiano nell’esigenza dell’umanità di superare l’attuale crisi antropologica e superare il nichilismo da cui è pervasa, e insieme la risonanza che esso suscita nel suo cuore con il profondo disagio di fronte a tale situazione; disagio che si manifesta in accenti commossi, riflesso di un’acuta sensibilità etica e di un correlativo moto di speranza per un’umanità “assetata di verità e ferita dal male che non riesce più a controllare”, alla luce del riconoscimento, insito nella filosofia buberiana, di un “sentiero possibile”, per il genere umano, atto a fargli superare “l’ora presente”, a ridare all’uomo la sua libertà di decidere vincendo il male e scegliendo il bene. Questa intima e sofferta partecipazione all’amara contezza buberiana dell’egemonia del male e alla correlativa speranza è uno dei tratti più caratteristici e suggestivi del saggio, che si fa apprezzare anche per l’onestà intellettuale, la coerenza metodologica, la chiarezza e il garbo della scrittura, a lei peculiare, nonché per l’ampiezza e puntualità del corredo bibliografico. in conclusione, mi pare doveroso significare a Maria De Carlo la gratitudine per il grande merito di aver offerto al lettore, con l’accattivante comunicatività del suo saggio, la possibilità di accostarsi agevolmente all’universo teoretico buberiano e di tesaurizzarne la nobiltà del messaggio etico con la sua carica solidaristica e la sua tensione verso l’eterno.

Dal mistero alla complementarietà. Desiderio e stadio estetico in Soren Kierkegaard

Dalla Prefazione
Dall’antagonismo alla complementarietà

Dopo la morte di Dio, la morte del prossimo è la scomparsa
della seconda relazione fondamentale dell’uomo.
 L’uomo cade in una profonda solitudine. È un orfano
senza precedenti nella storia. Lo è in senso verticale -è morto
 il suo Genitore celeste, ma anche in senso orizzontale: è morto
chi gli stava vicino.  È orfano dovunque volti  lo sguardo.

L. Zoja   La morte del prossimo (Einaudi, 2009).


“Non ho una dottrina. Indico soltanto qualcosa. Indico la realtà, e di essa indico ciò che non è stato visto o che è stato visto troppo poco. Prendo per mano chi mi ascolta e lo conduco a una finestra. Apro la finestra e indico fuori. Non ho una dottrina, ma conduco un dialogo” (M. Buber).

Passeggiando con Socrate - il counseling filosofico

 
Socrate- Ora, la mia arte di ostetrico, in tutto il rimanente rassomiglia a quella delle levatrici (...) e provvede alle anime partorienti e non ai corpi. E la più grande capacità sua è ch'io riesco, per essa, a discernere sicuramente se fantasma e menzogna partorisce l'anima del giovane, oppure se cosa vitale e reale (...) E dunque affidati a me, che sono figliolo di levatrice e ostetrico io stesso; e a quel che ti domando vedi di rispondere nel miglior modo che sai (...).

martedì 23 giugno 2015

Tempo di vacanza: tempo di relax per il corpo e per l'anima

L’estate è attesa da ciascuno come tempo di quiete, di riposo (almeno di piccoli spazi rinfrescanti), ed è tempo anche di fare esperienze dedicate alla propria cura –del corpo e dell’anima. E’ tempo di vacanza, che dal latino significa appunto “mancanza” e essere libero senza occupazioni. Ed è proprio quando si è in sosta che si riesce anche a riflettere con maggiore attenzione e profondità sulla propria esistenza. La lettura accompagna questo periodo. Ho sottomano un saggio dedicato a Martin Buber (Appunti per la ricerca di una direzione –ed Grafie).

La donna felice rende l'umanità felice

“Se noi uomini fossimo più intelligenti di quanto siamo, ci saremmo preoccupati sempre che le donne fossero più felici di quanto sono, poiché questa è la condizione primaria della felicità nel mondo. Nella misura in cui le donne non sono felici, non esiste felicità; e, naturalmente, non la può ottenere l’uomo”. Una dichiarazione, oserei dire illuminata, di Julian Marìas, allievo di Ortega.

La sua è un’attenta analisi sulla donna e sulla sua felicità, conditio sine qua non per la felicità di chi le sta accanto. L’uomo non si pone questa domanda, non si chiede se la donna che le sta accanto è felice oppure no, non guarda attentamente il suo volto, i suoi gesti, non si chiede se è contenta o insoddisfatta.

La pace genera vita la guerra fa più gente cattiva

“La guerra fa più gente cattiva di quanta ne tolga di mezzo”, recita una massima di un autore antico. Parole cariche di saggezza e di santa razionalità. E per quanto sta accadendo intorno a noi – questa volta in un mondo non troppo lontano dalle nostre case – la massima sembra risuonare ancora più fortemente. 
La guerra è sinonimo di distruzione, di annientamento. E dunque annulla ogni possibilità di “costruire” dialogo e ponti di possibile “pacificazione”. La guerra è violenza sull’altro e la violenza genera violenza e perciò “fa più gente cattiva”.

Io amo a te: verso la complementarietà


Cos’è l’amore? Lou Marinoff riporta tre risposte di Freud sull’amore paragonato a tre tipi di opposti: “amare contrapposto all’essere amato; amore contrapposto all’odio e amore contrapposto all’indifferenza, che, a sua volta, è l’opposto sia dell’odio, sia dell’amore” rifacendosi (inconsapevolmente) al taoismo secondo cui ciascuno è complementare, è necessario cioè per l’esistenza dell’altro.

L’amore è responsabilità di un io verso un tu

Ci sono tre domande fondamentali che ci interpellano, così come ci ricorda Martin Buber: “Sappi da dove vieni, dove vai e davanti a chi dovrai un giorno rendere conto”. L’uomo del Novecento invece ha preferito riempire il “vuoto” delle risposte con la violenza e il dominio pur avendo conosciuto le sue potenzialità più alte, come le conquiste sociali, i diritti dell’uomo, il progresso tecnologico, le scoperte per migliorare la qualità della vita, etc.

Ri-pensare all'aterità: c'è bisogno di etica per rinnovarsi

Non c’è dubbio che stiamo vivendo in un’epoca particolarmente inquietante: dalle grandi alle piccole guerre; dal femminicidio all’infanticidio; dalla disoccupazione al suicidio; dalla dipendenza di ogni genere alle uccisioni….. e l’elenco potrebbe continuare. A serpeggiare in tutto ciò una perdita di senso che accompagna tanti. Ci siamo ammalati. Dobbiamo fare i conti con un individualismo e soggettivismo portato all’esasperazione. Un processo di disumanizzazione che vede un io onnivoro incapace di riconoscere l’altro.

L'utilità dell'inutile....ci salva

“Quando gli spiriti barbarici riprendono vigore non solo soverchiano e opprimono gli uomini che la civiltà rappresentano, ma si volgono a disfarne le opere che erano a loro strumenti di altre opere, e distruggono monumenti di bellezza, sistemi di pensieri, tutte le testimonianze del nobile passato, chiudendo scuole, disperdendo o bruciando musei e biblioteche e archivi (…).